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Terrazzi Alti di Siro Buzzetti. Tra il cielo e la pietra di Valtellina

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Siro Buzzetti lavora vigne in Valtellina, nella ripidissima Sassella. Vigne impervie, attaccate alla montagna su in alto, fin dove si può arrivare. Pietre a non finire, poca terra e l’eredità del lavoro di secoli, la fatica delle conquiste mai acquisite in pieno e sempre da difendere: questi sono i terrazzamenti della Valtellina, e qui nasce il Terrazzi AltiTerrazzi Alti vigneÈ la Sassella che dà verso ovest, nella zona detta Grigioni. Qui si ragiona per appezzamenti di poche centinaia di metri quadri: è un mosaico creato dalla storia, dal suddividersi di proprietà tra eredi, di acquisti faticosi frutto dei risparmi di una vita. Tornano alla mente le immagini del documentario di Ermanno Olmi, Rupi del vino, in cui si vede un elicottero portare su la terra per riempire il pianoro creato con un muro a secco rimesso in sesto: cose dell’altro mondo, solo che un tempo non c’erano gli elicotteri, c’erano gli asini, e poi le spalle di chi portava le gerle di terra per l’ultimo tratto più impervio.
Questo colpisce del mondo del vino, al di là di tutti i discorsi, concorsi e millanterie: che è storia di civiltà, storia silenziosa.

 

SDelle vigne di quassù la prima cosa che stupisce sono… i fichi d’india. Sembra impossibile, uno dice “Siamo in Valtellina, non in Sicilia”: eppure eccoli lì, aggrappati dovunque ai muretti a secco: più piccoli, ma tenaci e dotati di minuscoli frutti maturi… D’estate i terrazzamenti sono bolge infuocate, esposte completamente a sud e arroventate dal riverbero delle pietre. La siccità è all’ordine del giorno, c’è poca terra da cui trarre linfa e umidità. La vegetazione si adatta di conseguenza, e spuntano il finocchio selvatico, il fico, la rosa canina, cespugli di macchia mediterranea; piante che a cose normali si trovano molto più a sud, molto più verso il mare.

In cima alla vigna di Siro c’è un costone nudo di roccia verticale: nei secoli, una mano vi ha scolpito due fenditure a “V”, per far convergere l’umidità che trasuda la roccia in una piccola cisterna scavata alla sua base. A qualche centinaio di metri dalla vigna, su uno stretto pianoro (in località La Ganda), ha lui stesso scoperto alcune incisioni rupestri, simili a quelle celebri della Valcamonica, con figure umane stilizzate, probabilmente di natura religiosa. Stupore che si aggiunge a stupore.

 

Sotto un castagno, in una minuscola piazzola, il trattore di Siro: con le sue forme d’un tempo e i suoi colori sgargianti, sembra piovuto lì direttamente da un cartone animato: fa simpatia nella vigna, e in tempo di vendemmia fa ancora il suo mestiere. Salendo ancora, si arriva dove ogni trattore si deve fermare; finiscono le stradine e inizia la trafila delle scalinate. Pietre dappertutto: nel riverbero del sole, i muri a secco sembrano una trina di luci e ombre che si intersecano.

Trattore Siro BuzzettiLe fasce dei muri proteggono i corti filari che seguono perfetti la linea nord-sud. Tutto dà l’idea di un lavoro continuo, caparbio, per tener su quello che la gravità e gli agenti atmosferici tendono a buttar giù. E in mezzo a questa lotta c’è il nebbiolo. Mai troppo rigoglioso quassù, anzi in molti punti, dove la terra è meno profonda, sofferente.

Raggiungo Siro al telefono alcuni mesi dopo esser stato lassù, in uno dei rari momenti di sole del gennaio. E infatti, nonostante l’ora del pranzo, è in vigna a potare, si sentono le lame delle forbici che scattano.

-Siro, come hai cominciato a produrre vino? Avevi già un podere di famiglia?
Ho cominciato con 1000 metri quadri nel 2005; non avevo vigne di famiglia, lavoravo come perito agrario, e quindi ho cercato una vigna vicina a Sondrio, dove vivevo. Il caso ha voluto che la prima vigna si trovasse nella sottozona della Sassella. Poi ho visto che la cosa mi piaceva, e così dal 2008 ho preso il part-time, e mi divido tra il lavoro e la vigna.

-Adesso quanto terreno lavori?
-Al momento ho 6000 metri quadri più qualche migliaio che ho preso in conduzione… In ogni caso non raggiungo l’ettaro. Sono quantità infinitesimali, lo so, ma con i terrazzamenti… devi fare tutto a mano.

-Com’è per te lavorare in vigna?
-È una evoluzione che percepisco in me: all’inizio lavoravo nel trasporto dell’entusiasmo, che era il fattore preponderante. Era un po’ prendere alla lettera il detto “prendi il cuore e buttalo di là dal fosso”.  Poi ho imparato che la montagna la devi anche affrontare con la testa, devi fare scelte ponderate, per non rischiare di trovarti “senza ossigeno”.

Terrazzi Alti Sassella

-Che rapporto hai con la fatica? Lavori vigne “estreme” in questo senso…
-Come dicevo, alla base di tutto c’è l’entusiasmo. Ma a questo devi aggiungere la testa. La montagna molti la vedono come un simbolo di stabilità, una cosa ferma. Per me invece è in continuo movimento, una perenne ricerca dell’equilibrio. Il terrazzamento, a pensarci è così. Ogni scala, ogni muretto hanno un perché, sono un percorso dell’uomo con la natura.

Sassella-In una parola…
Essenzialità. La montagna è una palestra in cui tu arrivi con le tue gambe, i tuoi pochi strumenti… La montagna ti frena, arrivi con un grande impeto ma poi devi trovare il ritmo per non perdere il fiato. Ti dà il senso dell’obiettivo; il vino è la chiusura del cerchio di un percorso molto più ampio, che contiene in sé moltissime cose: intuizioni, errori… Metti insieme tutte queste cose e questo è il tuo vino. Io la vedo così, c’è chi mi dice che sono troppo sognatore, però mi piace vivere questa cosa in modo emozionale. Certo, c’è la necessità di un ragionamento, però alla fine le motivazioni sono più profonde.

-E la tecnica, in tutto questo?
-Quando studiavo da perito agrario mi appassionavo per gli aspetti tecnici, per la meccanizzazione… Qua in Valtellina invece è tutto il contrario: meccanizzazione non ne puoi fare, devi far lavorare la tua testa e il tuo corpo. Come quando vai in montagna con scarponi e piccozza.

-Quali pensi siano le peculiarità del nebbiolo di Sassella?
-È un discorso molto più complesso: un tempo si diceva: la Sassella fa il vino più sapido, l’Inferno più potente… In realtà è sbagliato ragionare per macrozone: ogni terrazzamento ha le sue peculiarità. Io la intendono come dicono i francesi, on fait le vin comme on est, ossia il vino è come sei tu, si impronta alle scelte che fai. Siamo in una valle tutta est-ovest, con caratteristiche omogenee. Bisognerebbe considerare di più il discorso delle fasce altimetriche; le zone basse hanno determinate caratteristiche, le zone alte hanno profumi più complessi; e poi bisogna considerare che ogni terrazzamento ha la sua profondità e risponde in modo diverso al clima.

Terrazzamenti Valtellina

-La tua collaborazione con Giuseppe Guglielmo dell’Azienda Boffalora, la condivisione della cantina e dell’aiuto reciproco, è anche un modo per andare oltre i mille piccoli confini che si creano fra viticoltori, tra “piccole parrocchie”… Tu come la vedi?
-L’amicizia con Giuseppe ha cambiato molto la mia impostazione. Le prime annate vinificavo in una cantinetta minuscola in Sondrio vecchia… L’incontro con Giuseppe è stato un caso molto fortunato, ci siamo trovati subito in sintonia, lui è eclettico, molto deciso… È il bello di lavorare in due: due teste, due aziende, si ragiona costantemente, abbiamo basi comuni… E poi lavorare insieme è come fare una cordata! Mi ritengo fortunato di collaborare  con lui, altrimenti non so se sarei arrivato fin qua. Mi ha aiutato a fare un bel salto!

-E a livello di Consorzio? Come si può fare per comunicare al meglio i valori della viticoltura di Valtellina?
Fare sistema è la strada per uscire fuori dai nostri confini. Ci sono molte nuove aziende, un nuovo modo di pensare sta prendendo piede, c’è una maggiore coscienza di gruppo. Ad esempio ci siamo presentati al Vinitaly con un unico spazio omogeneo. Cose del genere erano impensabili fino a 10 anni fa. Puntiamo a proseguire su questa linea.

Valtellina Terrazzi AltiEd eccolo, il vino.
Terrazzi Alti Valtellina Superiore DOCG Sassella 2009  (13,5%)
I colori pastello della sua etichetta, nel bicchiere sono un bellissimo rubino trasparente e vivo. I profumi sono i fiori dell’ibisco, i frutti del ribes, il femminile della cipria e il maschile del cuoio. Il sorso è morbido, signorile, apre fruttatissimo con l’amarena, si allunga sapido e resta persistente, con un incedere lieve, da nebbiolo d’altura, cresciuto alla luce chiara della montagna. Splendido oggi e chissà quali racconti avrà da fare tra cinque o più anni.

Ecco il vino di montagna; mai urlato, mai troppo potente, ma che predilige i toni pacati, che sa assecondare il passo lento del tempo, che non ha verità incontrovertibili, se non la fatica.
Questa è la Valtellina, un’opera d’arte collettiva, anche se non valorizzata ancora quanto meriterebbe. L’hanno capito Siro e Giuseppe, e tanti altri viticoltori della nuova generazione: è solo collaborando che si riesce a fare sistema e si va avanti. Una pietra sola non fa nulla, tante pietre tengono su un vigneto.

 

Articolo di: Paolo Rossi – 20/02/2014

fonte: http://www.acquabuona.it/2014/02/terrazzi-alti-di-siro-buzzetti-tra-il-cielo-e-la-pietra-di-valtellina/

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